Le vette dei Monti Ernici si chiudono a sipario davanti la vista. I boschi scendono come mani e braccia verso la valle. Sora è poco sotto. Si intravede. Prendiamo una strada sterrata, poi giriamo a sinistra. La strada sale con curvoni graduali inoltrandosi nella magia del bosco di castagno. Proseguiamo in salita fino a incontrare un fontanile. Davanti a noi si aprono spazi verdi di pascoli. Il luogo è puntinato da antiche costruzioni che tradiscono il passaggio di uomini e animali.
Un tempo cristallizzato, fermo, in cui il legame con la terra non è stato messo da parte. Un acquitrino ci costringe ad allargare la nostra strada. Ci infiliamo in un bosco, poi in un altro. La valle si apre dinanzi a noi come un proscenio dinanzi agli spettatori di un’opera teatrale. I Lepini, gli Ausoni, gli Aurunci. Monte Cairo è una vedetta che racconta di guerre e poi lei, la verde Val Comino a infrangersi contro la barriera dei marsicani laziali. Prendiamo respiro. C’è un mondo qui sopra. E così mentre metto in fila un passo dopo l’altro mi sembra di vedere mio nonno. I suoi racconti. Le grotte dei briganti poco distanti e uomini e donne a vivere con il sole in viso su queste calde, verdi alture sui mille metri. Guardo sulla carta, ma la carta è una rappresentazione ancor più approssimativa della realtà. Dietro solo qualche appunto preso di fretta che adesso mi resta difficile da decifrare. Prendo una salita che si inerpica decisa sul costone della montagna, all’ombra del Tartaro, piccola elevazione che sovrasta la valle. Da qui si intravede Monte Pedicino, uno dei luoghi di Chiavone il brigante.
Le valli davanti a noi con le fumarole degli scarti della raccolta delle olive sembrano accampamenti indiani. Cerco un passaggio tra le rocce. Una via abbastanza larga che somiglia a un passaggio rituale. Un portale. Trovo il varco. L’atmosfera nella fitta faggeta ora è quasi magia. Seguiamo tracce di animali. Poggiamo mani su rocce fredde per tenerci in equilibrio. Ecco. C’è un cippo di confine. Uno di quelli a delimitare lo Stato della Chiesa e il Regno delle Due Sicilie. Sopra le effigi di regni decaduti, come malinconie di foglie lasciate alla mercé dell’autunno. Ecco il pozzo. Di fronte una pietra come riportato sui nostri appunti scribacchiati e rubati qua e là. Eccolo il trono. Una roccia bianca e levigata. Con una piccola torcia creo il contrasto utile a leggere qualcosa. Eccola l’iscrizione.
Qui prima ancora del tempo dei romani, i marsi arrivati dall’Abruzzo diventarono Ernici. Poi prosegue. Due consoli romani in questo luogo hanno eretto un tempietto a Giove Atrato. Un Giove dei boschi oscuri, del tempo instabile, delle nubi e del tuono.
Mi sposto di qualche passo ancora, ebbro di felicità per aver trovato questo luogo. Al centro, quasi un anfiteatro, qualcuno ha ricavato un volto da un albero caduto. Il volto di un Dio austero, di uno spirito o della montagna stessa posto come totem a guardia del luogo, memoria di mille secoli mai sopita né dimenticata.
Le vette dei Monti Ernici si chiudono a sipario davanti la vista. I boschi scendono come mani e braccia verso la valle. Sora è poco sotto. Si intravede. Prendiamo una strada sterrata, poi giriamo a sinistra. La strada sale con curvoni graduali inoltrandosi nella magia del bosco di castagno. Proseguiamo in salita fino a incontrare un fontanile. Davanti a noi si aprono spazi verdi di pascoli. Il luogo è puntinato da antiche costruzioni che tradiscono il passaggio di uomini e animali.
Un tempo cristallizzato, fermo, in cui il legame con la terra non è stato messo da parte. Un acquitrino ci costringe ad allargare la nostra strada. Ci infiliamo in un bosco, poi in un altro. La valle si apre dinanzi a noi come un proscenio dinanzi agli spettatori di un’opera teatrale. I Lepini, gli Ausoni, gli Aurunci. Monte Cairo è una vedetta che racconta di guerre e poi lei, la verde Val Comino a infrangersi contro la barriera dei marsicani laziali. Prendiamo respiro. C’è un mondo qui sopra. E così mentre metto in fila un passo dopo l’altro mi sembra di vedere mio nonno. I suoi racconti. Le grotte dei briganti poco distanti e uomini e donne a vivere con il sole in viso su queste calde, verdi alture sui mille metri. Guardo sulla carta, ma la carta è una rappresentazione ancor più approssimativa della realtà. Dietro solo qualche appunto preso di fretta che adesso mi resta difficile da decifrare. Prendo una salita che si inerpica decisa sul costone della montagna, all’ombra del Tartaro, piccola elevazione che sovrasta la valle. Da qui si intravede Monte Pedicino, uno dei luoghi di Chiavone il brigante.
Le valli davanti a noi con le fumarole degli scarti della raccolta delle olive sembrano accampamenti indiani. Cerco un passaggio tra le rocce. Una via abbastanza larga che somiglia a un passaggio rituale. Un portale. Trovo il varco. L’atmosfera nella fitta faggeta ora è quasi magia. Seguiamo tracce di animali. Poggiamo mani su rocce fredde per tenerci in equilibrio. Ecco. C’è un cippo di confine. Uno di quelli a delimitare lo Stato della Chiesa e il Regno delle Due Sicilie. Sopra le effigi di regni decaduti, come malinconie di foglie lasciate alla mercé dell’autunno. Ecco il pozzo. Di fronte una pietra come riportato sui nostri appunti scribacchiati e rubati qua e là. Eccolo il trono. Una roccia bianca e levigata. Con una piccola torcia creo il contrasto utile a leggere qualcosa. Eccola l’iscrizione.
Qui prima ancora del tempo dei romani, i marsi arrivati dall’Abruzzo diventarono Ernici. Poi prosegue. Due consoli romani in questo luogo hanno eretto un tempietto a Giove Atrato. Un Giove dei boschi oscuri, del tempo instabile, delle nubi e del tuono. Mi sposto di qualche passo ancora, ebbro di felicità per aver trovato questo luogo. Al centro, quasi un anfiteatro, qualcuno ha ricavato un volto da un albero caduto. Il volto di un Dio austero, di uno spirito o della montagna stessa posto come totem a guardia del luogo, memoria di mille secoli mai sopita né dimenticata.
Per gli amanti del ciclismo, delle passeggiate a piedi o a cavallo. Per tutti coloro che che vogliono scoprire territori e vivere esperienze uniche ed indimenticabili.
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